Il Primo Collegamento sulla Linea Internazionale - I Telegrafi delle Due Sicilie

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La Telegrafia Elettrica | Il primo collegamento sulla linea internazionale

Il 1852 fu un anno d’importanti conquiste tecnologiche ed investimenti infrastrutturali, domenica 15 agosto, ad appena sedici giorni dall'entrata in servizio del telegrafo elettrico, e dopo circa due mesi di collaudi, fu inaugurato presso il porto militare di Napoli il “San Gennaro”, il più ampio bacino di raddobbo navale allora costruito in Italia, ed il primo della penisola ad essere integrato all'interno di un arsenale militare.  
Infrastruttura marittima e militare realizzata prima d'allora solo dalle grandi potenze europee come la Francia o l'Inghilterra, la costruzione del bacino, realizzata in soli 19 mesi ed ad un costo contenuto, ebbe grande attenzione in tutta Italia e generò un'ondata d'orgoglio e patriottismo tra i napoletani. Le cancellerie straniere guardarono con sospetto questa ennesima autonoma realizzazione dell'ingegno "napolitano" ed espressero perplessità verso i continui progressi che le Due Sicilie andavano realizzando [1].
L’idea che Ferdinando II ebbe del progresso del regno si concretizzò in un programma di sviluppo a lungo termine prudentemente calibrato sulle reali possibilità sociali ed economiche delle Due Sicilie.
Un piano che, per quanto criticabile, ebbe la dichiarata ambizione d’avvicinare il regno alla meta del decollo industriale e per la cui applicazione fu messa in campo una strategia che potremmo schematizzare in tre fasi, grosso modo coincidenti con i tre decenni del regno ferdinandeo.
Nella prima fase, lungo gli anni Trenta dell’Ottocento si concretizzò il risanamento della finanza pubblica, il riordino e l’ammodernamento delle strutture statali, conferendo dinamismo alla società ed all'economia.
Nella seconda fase, negli anni Quaranta, si acquisirono le condizioni [2] per la crescita dell'industria metalmeccanica sostenuta dall'intervento dello Stato , volano per la prospettiva di sviluppo industriale e commerciale ed infine, negli anni Cinquanta sino all'unità d’Italia, si assistette alla terza fase caratterizzata dalla realizzazione dei programmi infrastrutturali, dalla riforma doganale ed amministrativa, e dalle iniziative per agevolare la trasformazione in senso industriale delle imprese semi artigianali.
In quest’ultima fase si collocarono i progetti di espansione della rete stradale e ferroviaria, della navigazione a vapore, delle infrastrutture marittime ed il telegrafo elettrico, installazione essenziale per il commercio, la finanza e l’industria i cui tracciati, tra il 1852 ed il 1854, si estesero lungo quattro direttrici.
Le prime tre linee, inizialmente di esclusivo carattere militare e sperimentale, puntarono verso Nord, collegando i siti reali di Napoli e Caserta alle piazze militari di Capua e Gaeta ed alla stazione confinaria di Terracina, porta di comunicazione con l’Europa.
Una quarta linea si diresse verso Sud, in direzione della Sicilia, mettendo in comunicazione la Capitale con le  Puglie e le Calabrie, punto di collegamento con la Sicilia.
Nel dettaglio dei percorsi, e delle stazioni aperte lungo i tracciati, si costruì:
  • Una prima linea che, partendo da Napoli, passò per Cancello, Maddaloni, Caserta, Santa Maria e terminò a Capua,
  • Una seconda che partendo da Napoli raggiunse direttamente la Reggia di Caserta, toccando Capua, Mola e fermandosi a Gaeta. Da Mola, un ramo raggiunse la stazione confinaria di Terracina.
  • Una terza linea collegò Napoli con Terracina, senza stazioni intermedie,
  • Infine, un quarto filo unì Napoli con Nola, raggiunta il 19 maggio 1853,  a dove la linea si diramò lungo due direttrici: una per Avellino ed Ariano, snodo verso le Puglie e l’altra per Sarno, Nocera e Salerno, da dove avrebbe proseguito per le Calabrie, sino a Reggio, luogo d’inabissamento del cavo sottomarino per la Sicilia.
Il 31 luglio 1853, con le cerimonie d’inaugurazione degli uffici telegrafici di Nocera, Salerno ed Avellino,  terminò la costruzione del primo lotto.
I lavori proseguirono in direzione di Cosenza affrontando percorsi impegnativi, attraverso regioni montuose, terreni paludosi e malarici.
Le comunicazioni elettro-telegrafiche, ancora circoscritte all'ambito nazionale e per il solo servizio di Stato, furono affidate al Corpo telegrafico della Real Marina, già responsabile del servizio di telegrafia visuale.
Alcuni Segnalatori semaforici furono riconvertiti alla trasmissione elettrica, istruiti ai principi delle telegrafia moderna, all'uso e al funzionamento delle macchine, alla manutenzione delle linee, ed all'impiego di un nuovo sistema di cifratura dei dispacci ideato dal tenente colonnello Raffaele Traversa.
L'estensione della linea Salerno - Avellino verso le Puglie e le Calabrie, rese necessario disporre d'ulteriore personale,  fu dunque stabilito d’ampliare l’organico con l’ascrizione altri venti “alunni meritori” da istruirsi al servizio elettrico (Decreto n. 471 del 26 luglio 1853).
Il 27 giugno 1854, due anni dopo il completamento della linea Napoli-Gaeta-Terracina, lo Stato Pontificio ed il regno delle Due Sicilie stipularono una convenzione per la corrispondenza telegrafica, ratificata con Decreto n. 1528 del 23 settembre.
Il marchese di San Giuliano Gagliotti, Camillo Severino Longo, plenipotenziario del governo napoletano e Sua Eminenza il cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di Stato pontificio, sottoscrissero l’accordo per il trattamento e lo scambio dei telegrammi attraverso la stazione di Terracina.
Nell'ottobre del 1854 una stazione napoletana, con regii impiegati, fu stabilita accanto la stazione pontificia di Terracina, non avendo deciso le due amministrazioni d’adottare le medesime macchine ed apparati, l’articolo 6 della convenzione fissò l’obbligo di trascrivere la corrispondenza in transito, prima che questa passasse dalla linea napoletana a quella romana. L'art. 4 della stessa convenzione conferì facoltà all'amministrazione pontificia di stabilire, a propria cura e spese, una stazione elettro telegrafica di transito presso la città di Fondi, capoluogo del circondario di Gaeta, in territorio del Regno delle Due Sicilie.
Il 20 agosto 1855 fu aperta la comunicazione telegrafica tra il Granducato di Toscana e la stazione confinaria napoletana di Terracina, il 1° aprile la comunicazione si estese sino a Napoli.
Il 5 maggio 1856 il cardinale Antonelli, per la Santa Sede, ed il conte De Buol de Schauenstein, per il governo imperiale austriaco, firmarono la convenzione per lo scambio dei dispacci telegrafici attraverso le linee del regno Lombardo - Veneto. Il collegamento entrò in servizio il 15 settembre 1856 avendo stabilito in Ferrara, la stazione confinaria pontificia ed in Rovigo, la stazione confinaria austriaca [3].
Per il tramite del collegamento Terracina - Roma - Foligno - Ancona - Bologna - Modena [4], ultimato nel marzo del 1855, la telegrafia delle due Sicilie, dal 1° aprile 1855, ebbe finalmente il suo accesso alla rete Europea, con ben cinque anni di ritardo sui programmi napoletani.
Aderendo allo standard degli Stati Estensi e dello Stato della Chiesa, l’amministrazione napoletana adottò il “Morse Continentale, linguaggio telegrafico convenzionale stabilito tra i paesi aderenti alla Deutsch-Österreichischen Telegraphen Verein – DOE TV, la Lega Telegrafica Austro-Tedesca, costituita a Dresda il 25 luglio del 1850 tra Impero Austriaco, Prussia, Hannover, Sassonia, Baviera, Würtemberg, Paesi Bassi, Stati Estensi, Granducato di Toscana e Ducato di Parma e Piacenza [5].
Il 5 maggio 1856, avendo stipulato la convenzione telegrafica con il governo austriaco, lo Stato della Chiesa entrò a far parte della DOEV TV.
In virtù dell’accordo firmato con la santa Sede nel 1854, le Due Sicilie furono ammesse a far parte della Lega.
La norma contenuta all'articolo 7 della convenzione telegrafica, tra impero austriaco e Stato pontificio, prescrisse l'estensione degli accordi, prevedendo che ”Il governo austriaco farà riconoscere agli altri Stati, coi quali è in relazione la seguita unione telegrafica delle sue linee con il governo pontificio, e così qualunque altra unione che in seguito si facesse fra il governo pontificio e gli altri Stati ad esso limitrofi, ogni qual volta ne riceva officiale partecipazione, accompagnando la relativa tariffa e qualunque regolamento suppletorio in caso.”
Il trattato con la Santa Sede contemplò, tra l’altro, l’ammissione del pubblico al servizio telegrafico, una norma che trovò applicazione quasi immediata poiché, dalla data di ratifica del concordato (23 settembre 1854), all'apertura delle prime stazioni trascorse poco meno di un mese. Il primo passo verso la telegrafia commerciale fu compiuto il 9 ottobre del 1854 allorché Ferdinando II approvò in forma di regolamento provvisorio per la telegrafia elettrica, le norme di servizio già previste dalla convenzione con lo Stato romano.
Il 17 ottobre 1854 si completò l’iter con la concessione all'uso pubblico delle stazioni di San Giacomo a Napoli, delle Reali Strade Ferrate di Nola, Cancello, Caserta e Capua, di Santamaria, di Mola, ubicata all'ingresso della villa di Caposele, di Gaeta, di Terracina, situata presso l'officina della Dogana, di Salerno, allestita in un locale dirimpetto il palazzo dell'Intendenza, ed Avellino nel palazzo dell'Intendenza.
La Real Segreteria e Ministero di Stato delle Finanze, già competente per l’Amministrazione generale delle poste e procacci, assunse la responsabilità amministrativa e commerciale delle stazioni telegrafiche.
Presso il primo ripartimento, terzo carico, dello stesso ministero,  gli ufficiali di carico D. Francesco Quarto e. D. Gennaro Bifani, sotto la direzione del cav. D. Luigi Grella, furono assegnati alle verifiche amministrative sul servizio di telegrafia elettrica.
D. Gennaro Attanasio, già razionale dell’Amministrazione delle Dogane, fu nominato direttore della telegrafia elettrica per la parte amministrativa e contabile.
Alle proprie dipendenze, selezionato tra i più giovani ed istruiti, egli ebbe personale proveniente dagli “esuberi” dell’amministrazione dei dazi indiretti.
L’organizzazione degli uffici telegrafici pubblici fu quindi suddivisa in parte tecnica, curata da personale militare del Corpo telegrafico della Marina e parte commerciale, gestita da impiegati delle Finanze dipendenti dal direttore Attanasio.
L’organico civile di una stazione, sottoposto al vincolo del segreto sulla corrispondenza in transito, si compose di un capo ufficio e di alcuni ufficiali ajutanti, il cui numero variò in funzione del “grado” assegnato all'ufficio.
Le "officine telegrafiche”, come furono chiamati gli uffici del telegrafo, di norma accettarono la corrispondenza solo di giorno, pur osservando un orario di servizio continuo, ventiquattro ore su ventiquattro per tutto il corso dell’anno, feste comandate comprese.
Il recapito dei telegrammi, a condizione che il destinatario risiedesse nel comune dell’ufficio ricevente, fu direttamente curato dal messo della stazione, per tutti gli altri la corrispondenza fu consegnata tramite il servizio postale ordinario.
Nel gran cortile del Ministero delle Finanze, all'interno del Palazzo dei Ministeri di Stato, fu sistemata la stazione centrale dei telegrafi alle Finanze con funzione d'ispettorato centrale delle linee.
La stazione di S. Giacomo, ovvero l'ufficio principale della Capitale destinato al servizio pubblico, fu realizzata all'architetto di Casa Reale Gaetano Genovese in collaborazione con l’architetto aggiunto Francesco del Gaizo al n. 67 del Largo di Castello, accanto l'ingresso principale del Palazzo dei Ministeri di Stato. Ultimato nel marzo 1853, l'ufficio telegrafico di Napoli fu ufficialmente aperto al servizio pubblico nel 1854.
Del locale, arredato con eleganza, si scrisse che “oltre la ricchezza delle suppellettili che largamente provvedono al conforto degli impiegati che vi soggiornano, il pubblico può con tutta comodità e decenza intrattenervisi, sia che voglia trasmettere qualche notizia o attenderne la risposta [6] ”.
A coronamento dell’ufficio centrale, l’8 dicembre 1854 [7], giorno dell’Immacolata Concezione, con il fasto delle grandi occasioni fu scoperto, nello spazio antistante il Palazzo dei Ministeri di Stato al Largo di Castello (attuale piazza Municipio), un modernissimo orologio elettrico stradale a motore sincrono, dono del Corpo della Città di Napoli, ovvero del consiglio comunale.
Tra quanto di meglio la tecnologia dell’epoca potesse offrire per la misurazione del tempo, la macchina fu acquistata dal de Normann presso il noto “watchmaker” Charles Shepherd, con officina in Londra al n. 53 di  Leadenhall Street.
L’orologio, dello stesso modello installato a Londra nello spazio antistante l’ufficio telegrafico di Charing Cross, fu allacciato alla linea elettrica della vicina “officina centrale dei telegrafi” e collocato su un basamento in pietra vulcanica, circondato da un aiuola con piccole piante e fiori, disegnato dallo stesso architetto Genovese .
In una relazione dell’epoca il professor Paci descrisse l’orologio come “… sorretto da una colonna di ferro fuso a guisa di fanale ed avente nelle quattro opposte facce altrettanti quadranti di cristallo trasparente, per leggervi le ore durante la notte, in grazia dei becchi a gas che all'interno vi si accendono [8].”
L'orologio incontrò poco gradimento del popolo napoletano il quale non trovò corrispondenza tra il nuovo sistema di conteggio delle ore e la meridiana a cui erano abituati da tempo immemore. Per ovviare alle critiche l'architetto Genovese fu introdotta una modifica sistemando sul piedistallo, in corrispondenza dei quadranti che guardavano a Est, Nord ed Ovest, l'indicazione "Tempo medio" mediante lettere in metallo dorato; nella quarta faccia, quella disposta a Sud, fu sistemato un quadrante solare con l'epigrafe "Tempo vero".
Frutto dell'ingegno dell'architetto Raffaele Palermo, specializzatosi nella ideazione e costruzione di orologi solari, i cui prototipi furono presentati con successo alla Solenne esposizione di arti e manifatture di Napoli del 1853,  la "meridiana" posta sull'orologio di Largo di Castello, consentì di leggere sia il tempo vero, quando il sole ne illuminava il quadrante,  che il mezzogiorno del tempo medio, in sincronia con i quadranti elettrici.
Successivamente, nella seduta del 20 luglio 1855, il Consiglio Edilizio della Capitale ritenne opportuno diffondere questo tipo di orologi elettrici anche in altre zone della città e precisamente al Real Albergo dei Poveri, al Largo delle Pigne (odierna piazza Cavour), al largo Carità, alla Villa Reale, a Piedigrotta, a Castel Capuano, al Palazzo della Regia Posta, alla Deputazione di Salute, alla stazione della Strada Ferrata ed al largo del Mercatello (odierna piazza Dante).
Nessuno di questi orologi fu realizzato ad eccezione di quello al largo del Mercatello posto per volontà di Ferdinando II sull'acroterio del Foro Carolino [9].
Inaugurato il 4 maggio del 1858 l'orologio, anch'esso con quadrante retroilluminato a gas, tre volte al giorno, al suono dell'inno borbonico, segnava le sei mattutine, le dodici e  l'Ave Maria . Il colonnello Nunziante, su incarico del re, s'occupò d'acquistare a Londra l'orologio, ed a Parigi il suo quadrante di cristallo [10].
Il 3 dicembre del 1858 s'insediò una commissione, presieduta dal monsignor Salzano, per predisporre quanto necessario alla realizzazione di una statua di Carlo III di Borbone da collocare al centro dell'emiciclo. Il progetto, preparato dallo scultore Salvatore Irdi, ebbe vari rimaneggiamenti che non ne consentirono la realizzazione.
Nel 1860, per ovviare alle lesioni apparse sul quadrante di cristallo si dispose la sua sostituzione con l'attuale disco di lamiera, pochi mesi dopo, nel corso dei disordini post-unitari, il meccanismo interno fu distrutto e l'orologio cessò di scandire il giorno al suono dell'inno di Paesiello.
Nel 1872 il Foro Carolino fu dedicato al poeta Dante Alighieri ed al centro della piazza fu collocata l'infelice opera dello scultore Tito Angelini.  L'orologio di largo di Castello,  lasciato in stato d'abbandono e senza manutenzione, fu smantellato in epoca post unitaria. L'idea di una rete di orologi elettrici pubblici fu ripreso nel 1931 allorquando, l'Ente Autonomo Volturno decise di realizzare il progetto dell'ora unica della città di Napoli mediante l'installazione di 500 orologi sincroni (460 privati e 40 pubblici) comandati da una centrale posta nella sede dell'Ente, a sua volta collegata con la centrale dell'Osservatorio Astronomico di Capodimonte, ove veniva regolata l'ora astronomica. Oggi, di questi orologi, sopravvivono solo dodici esemplari.

[1] Confronta: Antonio Formicola - Claudio Romano, "L'industria navale di Ferdinando II di Borbone (1830 - 1860)". Casa editrice Fausto Fiorentino, Napoli 1980. Pagina 141 e seguenti.  Costruttori di Opifici/Millwrigths. Architetture del lavoro fra tradizione e innovazione a cura di Gregorio E. Rubino, Giannini Editore, Napoli 2005. Pagina 41 e seguenti.   
[2] Pag. 19 de “L’Industria del regno di Napoli 1859-1860”, Angelo Mangone, F. Fiorentino Editrice, Napoli 1976
[3] Il collegamento tra Rovigo, posta sulla riva sinistra del Po e Ferrara, ubicata sulla riva destra, fu stabilito mediante la distesa di una linea telegrafica sul fondo del fiume.
[4] La stazione di Modena, posta a 653 Km dalla frontiera napoletana, in virtù degli accordi stipulati tra Stati Estensi ed Impero Austriaco, dal febbraio 1852 fu collegata alla rete telegrafica europea tramite le linee del Lombardo Veneto. Sin dal giugno del 1851 gli Stati Estensi aderirono alla Lega telegrafica Austro-Tedesca (DOE – TV).
[5] Nel 1849 Prussia e Austria accettarono di costruire una linea tra Berlino e Vienna, utilizzando il sistema Morse adottato di recente. Nel 1850 Prussia, Austria, Hannover, Sassonia, Baviera, Würtemberg, Paesi Bassi, Stati Estensi, Granducato di Toscana e Ducato di Parma e Piacenza crearono l'Unione Telegrafica Austria-Germania (Deutsch-Oesterreichischen Telegraphenverein). L'esempio tedesco-austriaco fu imitato da Francia, Belgio, Svizzera, Sardegna e Spagna che nel 1855 costituirono la West European Telegraph Union (WETU) .
[6] Epaminonda Abate, Intorno i telegrafi elettrici, pag. 111 Annali scientifici, giornale di scienze fisiche, matematiche, agricoltura, compilato per cura dei signori V. Janni e N. Buondonno, Napoli, Tipografia Militare, 1855 – Volume II
[7] Avvenimenti dicembre 1854 dalla “Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la dinastia borbonica dal 1734 in poi”, Mons. Luigi del Pozzo – Stamperia Reale, Napoli 1857.
[8] Del pendolo e dell’orologio elettrico, prof. G. M. Paci - Annali Civili del Regno delle Due Sicilie vol. LI, Maggio, Giugno, Luglio Agosto 1854, pag.13.
[9] Il Foro Carolino, o piazza dello Spirito Santo, noto anche con l'antico appellativo di largo del Mercatello, dal 1871 assunse la denominazione di piazza Dante,  fu costruito dal Vanvitelli nel 1757  per celebrare la vittoria di Velletri del 1744 di Carlo III di Borbone sugli austriaci. Su un lato della torretta, ove nel 1858 fu sistemato il nuovo orologio, esisteva già un settecentesco orologio solare verticale da qualche anno sottoposto ad un intervento di restauro conservativo.
[10] E' opportuno correggere alcune errate informazioni apparse in rete circa l'orologio del Foro Carolino (attuale piazza Dante): innanzitutto la data di realizzazione risale all'anno 1858 e non al 1853 inoltre, il quadrante astronomico posto in basso è frutto di un successivo rifacimento di epoca unitaria, non ascrivibile alla realizzazione del 1858. La cronaca riportata dagli "Annali Civili" del 4 maggio 1858 così descrive l'evento: "Tra le opere di pubblico comodo ed abbellimento nella metropoli del Regno è da annoverarsi il grandioso orologio eretto per ordine del Sovrano e per cura del Municipio nel Foro Carolino, e propriamente nel fastigio centrale di quel magnifico prospetto.  Esso è in movimento dal dì 1° del pp. Aprile, e solo manca a compimento o più tosto a tutela dell'opera la costruzione di quattro parafulmini, da allogarsi a' quattro angoli della nuova mole. Cresciuta così la decorazione di quella piazza, il viatore che l'attraversa legge le ore a qualunque distanza non sol di giorno, ma di notte per la interna illuminazione, atteso la traslucidezza dell'ampio quadrante."  Confronta, inoltre: "Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell'Ottocento". Alfredo Buccaro, Edizioni Scientifiche Italiane, 1985.
Napoli, 15 agosto 1852. Alla presenza di circa ventimila persone, come stimato dal corrispondente de "The Illustrated London News" (N. 581 del 25 set. 1852), i sovrani delle Due Sicilie inaugurarono il bacino di raddobbo "S.Gennaro" con l'immissione "a secco" del vascello "Vesuvio" . Tela di P.G. Mattei, Caserta, Palazzo Reale.
Carta telegrafica d'Europa al 1854 (Particolare). La linea Napoli - Terracina è completata e collegata alla rete dello Stato Pontificio che, tuttavia, ha ancora in costruzione il tracciato verso il Granducato di Toscana. La linea da Bologna al Lombardo Veneto, essenziale per l'allaccio alla rete internazionale austro-tedesca, non è ancora raccordata con Roma. Il regno delle Due Sicilie dovrà attendere l'ultimazione della rete papale nel 1856 per poter accedere al circuito internazionale. Carta tratta dalla "Carte de la telegraphie Electrique  de l'Europe, Dreseé par ordre de  M. le Vicomte de Vougy Directeur Géneral  de l'Administration des Lignes Télégraphiques   - Paris 1854"
Apertura al pubblico linee telegrafiche pontificie a seguito della connessione con le reti Napoletane ed Estensi (Decreto segreteria Stato pontificia del 27 marzo 1855)
Testo della Convenzione telegrafica tra l'impero Austriaco e lo Stato Pontificio stipulata a Roma  il 5 maggio 1856 (estratto solo testo in italiano, il documento integrale è riprodotto nelle altre tre lingue principali dell'impero austriaco: tedesco, ungherese, slovacco). Il regno delle Due Sicilie, con la sottoscrizione della Convenzione con lo Stato Pontificio, sulla base all'art. 7 dell'accordo tra il governo pontificio e l'Impero Austrico fu riconosciuto come aderente al circuito telegrafico internazionale della Deutsch-Österreichischen Telegraphen Verein – DOE. TV. (clicca per leggere il testo integrale).
Cronaca tratta da il Giornale del Regno delle Due Sicilie dell' inaugurazione delle stazioni elettro-telegrafiche di Nola, Nocera, Salerno e Avellino (maggio - luglio 1853).
L'officina del telegrafo elettrico della capitale delle Due Sicilie al n. 67 del largo di Castello (attuale piazza Municipio).
Londra: orologio elettrico "Bain" nello spazio antistante l’ufficio telegrafico di Charing Cross.
Napoli: orologio elettrico a motore sincrono nello spazio antistante l'ufficio telegrafico centrale di S. Giacomo. L'orologio, realizzato sul modello londinese, fu installato l'8 dicembre 1854 e rimase in situ sino al 1863. Con il rifacimento della piazza fu trasferito presso il nuovo ufficio postale centrale a palazzo Gravina (attuale sede della facoltà di architettura) ove se ne persero le tracce.
L'orologio elettrico al largo di Castello
L'orologio elettrico al largo di Castello visto dagli uffici del Ministero delle Finanze. Di fronte l'edificio circolare della "Gran Guardia".Litografia Raffaele D'Ambra.
Napoli 1859: "Napoli Esultante". Il Foro Carolino, o piazza dello Spirito Santo, attuale piazza Dante, parato a festa per il matrimonio di Francesco II di Borbone con Maria Sofia di Wittelsbach. Sull'acroterio dell'emiciclo è chiaramente visibile il quadrante dell'orologio acquistato a Londra ed inaugurato il 4 maggio 1858 da Ferdinando II.
"Prospetto della piazza chiamata dello Spirito Santo adornata a guisa di antico foro per stabilimento fattosi dalla Fedelissima Città di Napoli fin da quando il Re cattolico, nostro Signore, felicitava col suo dominio e governo questi Regni, si fa erigere la statua equestre di bronzo alla Maestà Sua".  Stampa commissionata da Giovanni Gravier libraio francese e dedicata agli Eletti e Deputati della Fedelissima città di Napoli. Veduta del Foro Carolino secondo la sistemazione voluta da Vanvitelli  nel 1757 .
Orologio di piazza Nicola Amore facente parte della rete del progetto "l'ora unica della città di Napoli" dell'Ente Autonomo Volturno".
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 A mio padre   
(Procida 1930 – Napoli 1980)
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