Segnalare in Mare | Introduzione
Tre nuove rotte, quella per le Indie Occidentali, raggiunte da Cristoforo Colombo nell’ottobre del 1492, quella per le Indie Orientali, aperta da Dom Vasco da Gama nell'estate del 1498 e la prima circumnavigazione del mondo, compiuta dalla spedizione di Fernão de Magalhães nel 1520, cambiarono in meno di trent'anni la concezione geografica del mondo, l’economia, i commerci, i consumi e gli equilibri politico-militari del continente europeo.
La Spagna, assurta al ruolo di prima grande potenza coloniale moderna, dovette affrontare il problema di come governare e dominare un grande impero “globalizzato” e proteggerne le rotte marittime.
Sino alla seconda metà del Cinquecento la monarchia spagnola riuscì a mantere il controllo delle rotte atlantiche, sebbene insidiata dalla sempre più incalzante azione dei corsari protestanti sostenuti dalle nuove potenze coloniali e marittime d'Inghilterra, Francia ed Olanda, dirette concorrenti dell'impero asburgico sulle vie del commercio marittimo internazionale.
Sul versante Mediterraneo l’espansione turca costrinse la Spagna di Filippo Secondo, alla fine degli anni cinquanta del XVI secolo, ad adottare una strategia difensiva tesa a proteggere i propri possedimenti e le rotte marittime mediterranee evitando d'impegnarsi in un confronto diretto con il nemico ottomano, essendo prioritario concentrare il potenziale militare su altri fronti, dai Paesi Bassi all'Atlantico.
La stessa vittoria di Lepanto (1571), a cui contribuirono i viceregni di Napoli e Sicilia con ben 44 galere armate, per quanto stabilizzò i confini tra Cristianità e Islam, segnò il disimpegno dell’impero ottomano e spagnolo dal teatro Mediterraneo. La nuova situazione lasciò campo libero ad una endemica guerriglia corsara, condotta dai regni islamici del Nord Africa contro il commercio marittimo e le popolazioni rivierasche, le più esposte al flagello dei saccheggi e al rapimento di uomini, donne e bambini da ridurre in schiavitù.
Il perimetro costiero dei possedimenti ispanici mediterranei, e tra questi quelli nella penisola italica, assunsero la connotazione militare di confine marittimo dell’impero Asburgico. Nel 1563, la dirigenza dei viceregni di Napoli e di Sicilia, seguendo quanto realizzato o in corso di realizzazione lungo tutte le coste mediterranee sottoposte alla sovranità spagnola, mise a punto un piano di difesa dei litorali per preservare dalla pirateria barbaresca [1] il commercio marittimo e gli oltre 3500 Km di costa.
Il sistema di segnalazione e la difesa costiera nei regni di Napoli e Sicilia
Escludendo dal computo le piazzeforti marittime, i borghi e le masserie fortificate, il programma, sebbene non del tutto attuato, realizzò sul finire del Cinquecento trecentocinquanta torri lungo le coste del regno di Napoli, trentacinque lungo le coste del "Real Stato dei Presidi" di Toscana [2] ), ed ottantacinque nell'isola di Sicilia.
Nell'architettura del sistema difensivo, le torri si qualificarono come strutture altamente specializzate, alla cui prevalente funzione d’avamposto militare, si combinò quella di stazione di preallarme.
A seconda della posizione, e del ruolo ricoperto, le torri di distinsero in tre ordini:
- torri costiere di primo ordine - edificate in punti cospicui del litorale, e riconoscibili dalla possente pianta quadrata, costituirono la “prima linea” della difesa costiera, ed i punti più avanzati d’osservazione e segnalazione;
- torri di secondo ordine - dalla struttura più leggera, ma egualmente munite di artiglierie, furono edificate per integrare la gittata delle bocche da fuoco delle postazioni principali e conservare la chiusura balistica del sistema;
- torri “guardiole” o “ripetitrici” - erette in posizioni impervie, generalmente a notevole altezza, ebbero la funzione di ripetitore dei segnali in luoghi ove le asperità morfologiche impedivano il contatto visivo tra le torri interrompendone la relazione ottica necessaria a trasferire un avviso, anche a considerevole distanza.
Un sistema agile, ben adattato alla realtà dei luoghi, fu il frutto d’una scelta obbligata orientata ad un modello decentrato di difesa, sufficientemente efficace nell'offrire protezione alle comunità locali ed al piccolo cabotaggio costiero.
L’organico di una torre, mediamente composto da un castellano [3], un artigliere ed un soldato, fu proporzionato al bisogno d'assicurare turni di vedetta ed il maneggio del pezzo d’artiglieria.
Da maggio ad ottobre, periodo in cui le buone condizioni meteo marine favorivano l’intensificarsi delle incursioni barbaresche, la forza dei presidi venne integrata ricorrendo all'ingaggio di soldati “aggiunti”, veri e propri lavoratori stagionali della difesa costiera.
Il sistema di comunicazione in uso lungo l’intera linea di difesa del litorale, per quanto simile, si differenziò tra provincia e provincia con sperimentazioni e variazioni persino all'interno dello stesso ambito territoriale.
Ciò che comunque accomunò le diverse esperienze, fu la necessità di disporre d’una sequenza prestabilita di segnali che indicasse il numero di navi avvistate, i punti di sbarco, o chiamasse alle armi gli uomini posti a difesa di quel tratto di costa.
Per la trasmissione di questi messaggi elementari fu adoperata una discreta varietà di segnali (colpi di petrieri [4], campane o tamburi, rami, fuochi, fumo, bandiere, mortaretti o razzi) combinati tra loro in vario modo ed impiegati selettivamente a seconda delle condizioni ambientali (giorno, notte, foschia, pioggia, vento, etc.). Ogni giorno, allo scoccare della mezzanotte, se non vi era alcun allarme, le torri issavano il "fanale di sicurezza", atteso dalle imbarcazioni per riprendere il cabotaggio notturno. Nell'insieme, le metodologie “telegrafiche” adottate non si discostarono di molto dai sistemi in uso nel Mediterraneo antico.
Il vincolo rappresentato dal dover “leggere” i segnali col solo aiuto dell’occhio umano fu il primo più importante ostacolo, anche economico, allo sviluppo di tecniche più evolute. L’adozione su vasta scala di sistemi telegrafici complessi fu infatti preclusa dall'elevato numero di postazioni “ripetitrici” necessarie a colmare le grandi distanze.
L'invenzione del telescopio ottico, ad opera dell'olandese Hans Lippershey [5], prospettò nuove possibilità alla comunicazione visuale, ma gli effetti attesi tardarono ad affermarsi.
Tra la fine del Cinquecento e per tutto il Seicento, i cospicui costi d’acquisto, ed i problemi connessi all'evoluzione tecnica dello strumento, ne rallentarono la diffusione.
I primi cannocchiali commercializzati, per offrire sufficienti ingrandimenti ed una accettabile luminosità delle immagini, dovettero essere costruiti aumentando il rapporto tra il diametro della lente e la lunghezza dell’apparecchio.
Tubi di diversi metri non furono affatto un’eccezione senza, peraltro, riuscire a compensare la scarsa praticità del dispositivo con una soddisfacente qualità delle immagini captate. Solo nel 1757 l’inglese John Dollond (1706-1761) realizzò un telescopio innovativo che fu sintesi delle parziali sperimentazioni condotte sino ad allora in Europa.
Il cosiddetto “Dollond tele-scope,'' alle dimensioni “ragionevoli”, associò un deciso miglioramento delle immagini in qualità e risoluzione.
Dopo il 1766 John Dollond, e poi il figlio Peter, trasformarono in senso industriale la propria attività. Ebbe inizio la produzione in serie di cannocchiali, commercializzati a prezzi molto più contenuti di quelli sino ad allora praticati dagli artigiani italiani ed europei.
L’interesse del mercato per le applicazioni civili e militari di questo nuovo strumento fu grande, tanto che divenne lo standard nei sistemi ottico - telegrafici che si svilupparono in Europa negli ultimi decenni del Settecento ed i primi dell’Ottocento.
Nei regni di Napoli e Sicilia l’ammodernamento dei sistemi di difesa, vigilanza e comunicazione coincise con l’ascesa al trono della nuova dinastia (1734).
Carlo di Borbone ereditò torri e piazzeforti litorali costruite nel corso del viceregno spagnolo, ed abbandonate nel trentennio di dominazione austriaca, un sistema d’architettura militare ben collocato lungo la frontiera marittima, ma bisognoso di urgenti restauri ed integrazioni.
L’impegnativa e dispendiosa opera di riqualificazione ebbe principio nel 1742 e proseguì tra modifiche ed adattamenti per circa un quarantennio sotto la guida di valenti tecnici come il matematico professor Vito Caravelli [6], il tenente colonnello del Genio Andrea Pignonati [7], o l’ispettore generale d’artiglieria don François René Jean de Pommereul [8].
Le maggiori gittate delle moderne artiglierie comportarono una attenta selezione degli edifici da ristrutturare, l’uso dei telescopi, poi, ampliando la portata visiva degli osservatori, rese superfluo mantenere all'interno della linea visuale molte delle antiche torri “ripetitrici”. Lungo la costa, tra torre e torre, furono realizzate delle "casette" destinate ad ospitare cavallari [9], pedoni, torrari e "aggiunti". La posizione intermedia delle "casette" consentì d'utilizzarle come sorta di piccole caserme per gli addetti alla vigilanza notturna delle coste,
Senza attenuare la capacità dissuasiva dell’intero sistema [10], il progetto mirò ad accentuarne i punti di forza fondati sulla complementarietà di tre elementi: la scoperta del nemico, la comunicazione a distanza, la reazione armata.
Per discriminare il naviglio amico da quello alieno, ai bastimenti di Sua Maestà furono consegnate istruzioni per eseguire i “Segnali di Riconoscenza" [11], prescritti in fase d’avvicinamento alle coste, alle rade ed ai porti del regno. L’evoluzione delle segnalazioni marittime, registratasi nell'ultimo trentennio del Settecento, adattata ed applicata alla comunicazione tra presidi costieri e navi in transito, rese possibile sperimentare un primo servizio di “telegrafia a bandiera” a cui affidare la trasmissione di messaggi “terra-mare-terra” e “terra-terra”. Fuochi, fumo, razzi, e colpi di mascolo [12] restarono ancora in uso, almeno in Sicilia sino al 1815, anno in cui il servizio telegrafico della Marina napoletana recepì le innovazioni introdotte dal “decennio francese”.
[1] Nel XVI secolo i cristiani si riferivano al Maghreb utilizzando il termine “Barberia”, l’appellativo “Barbareschi” non era utilizzato, piuttosto le popolazioni del Nord Africa erano indicate come “Mori” o “Saraceni”. Il temine “barbareschi” fu introdotto successivamente, quando i regni del Nord Africa divennero parte dell'Impero ottomano.
[2] Lo "Stato dei Presidi" vedi: https://www.treccani.it/enciclopedia/stato-dei-presidi/
[3] Titolo attribuito al “caporale – torraro”, comandante della postazione. Il Torraro veniva scelto tra il personale spagnolo d’artiglieria in possesso di una cultura elementare (saper leggere e scrivere), e cognizioni di tattica militare. Il torraro conseguiva la patente di comando dopo aver sostenuto un esame innanzi una commissione del corpo d’artiglieria.
[4] Petriero o mascolo: piccolo cannone navale in ferro, impiegato nella difesa ravvicinata e negli abbordaggi. Simile all'obice, nei modelli primordiali fu caricato con palle di pietra, in seguito sostituite da scatole di mitraglia e ciottoli.
[5] Hans Lippershey (1570-1619) fu un ottico tedesco-olandese che nel 1608, brevettò il “vetro prospettico olandese", un telescopio di sua invenzione, di soli tre ingrandimenti. L’invenzione vera e propria del cannocchiale è incerta, attribuita a Galileo, fu rivendicata dallo scienziato napoletano G. Battista della Porta (1538 – 1615) il quale, per primo, nelle sue opere De refratione del 1593, e Magiae naturalis del 1589, trattò dell’uso della combinazione di lenti concave e convesse per la visione a distanza. Napoletano fu anche Francesco Fontana (Napoli 1585 -1656) astronomo ed uno dei maggiori costruttori di telescopi nell'Italia del Seicento egli realizzò il primo disegno di Marte, studiò il pianeta e ne colse la rotazione tra il 1630 ed il 1650.
[6] Professor Vito Caravelli (Montepeloso, oggi Irsina prov. di Matera, \1724 – Napoli, 25 novembre 1800) Ancora giovane, divenne sacerdote e si dedicò allo studio e poi all'insegnamento della matematica. Il governo borbonico volle valersi della sua competenza e dal 1753 il Caravelli insegnò matematica. Nel 1754 Carlo di Borbone lo nominò professore nella Reale Accademia di Marina e presso il corpo volontario di artiglieria. Come docente nella scuola di artiglieria scrisse un manuale di balistica (Elementi dell'artiglieria, 2 voll., Napoli 1773), uno sulle tecniche di fortificazione (Elementi dell'architettura militare, 6 voll., Napoli 1776).ed altri testi di matematica, oltre ad uno scritto sul parafulmine, tra i primi apparsi in Italia sull'argomento (Memoria pel conduttore elettrico che si pensa di mettere sulla cupola del tesoro di S. Gennaro, Napoli 1786).Nel 1786 Ferdinando IV nominò il Caravelli presidente della commissione d'esami per le scuole militari, e nel 1791 lo chiamò a corte affidandogli la preparazione matematica del figlio Francesco, duca di Calabria e futuro sovrano delle Due Sicilie.
[7] Andrea Pigonati (Siracusa, 1734 – Napoli, 28 agosto 1790) è stato un tenente colonnello del Genio nell'esercito delle Due Sicilie. Nel 1759 fu inviato ad Ustica assieme all'ingegnere militare Giuseppe Valenzuola dal re Carlo di Borbone, nell'ambito del progetto di popolamento di quell'isola. Notevole il suo interesse per le antichità classiche della Sicilia e realizzò un interessante opera di e misurazione e rilievo dei monumenti antichi dell'isola. Lavorò agli importanti lavori di bonifica del porto di Brindisi da decenni impantanato e inagibile ai grandi navigli. L'incarico gli venne direttamente da re Ferdinando IV e lo impegnò dal febbraio 1776 al 1780: in quella occasione si avvalse della collaborazione del matematico don Vito Caravelli. Ebbe l'incarico di direttore per la costruzione della strada degli Abruzzi da Castel di Sangro a Sulmona. Notevole la sua produzione pubblicistica di carattere scientifico.
[8] Nato a Fougères da una nobile ma decaduta famiglia bretone, Pommereul si unì al reale corpo d'artiglieria nel 1765 come tenente. Dopo essere stato impiegato nell'assedio di Corfù e nella campagna Corsa (1769), raggiunse il grado di tenente colonnello nel corpo d'artiglieria reale nel 1785. In quel periodo fu uno degli esaminatori di Napoleone Buonaparte al suo ricevimento nel corpo d'artiglieria presso la Scuola Militare. Fu nel 1787 che il ministero lo inviò nel regno di Napoli per organizzare i reparti di artiglieria, e fu a Napoli che ottenne i gradi di brigadiere e maresciallo di campo. Era a Napoli all'epoca della Rivoluzione francese e si mostrò partigiano di tutte le innovazioni irreligiose e politiche proclamate dalla rivoluzione. Quando il governo napoletano si unì alla coalizione delle potenze straniere contro la Prima Repubblica francese nel 1793, Pommereul chiese i suoi passaporti per tornare in Francia; ma gli vennero rifiutati con la ben plausibile ragione che conosceva lo stato delle forze armate napoletane inoltre, il re di Napoli voleva tenerlo al suo servizio, ma egli declinò ogni offerta.
Durante questo periodo viene registrato in Francia nell'elenco degli emigranti, i suoi beni vennero venduti e sua moglie e suo figlio maggiore tradotti in prigione. Non appena ebbe la notizia si affrettò a reclamare presso il governo napoletano il rilascio del suo passaporto e nel giugno 1795 finalmente l'ottenne. Nel 1796 si recò dall'ambasciatore francese a Firenze per richiedere la cancellazione del suo nome dalla lista degli emigranti. Durante la sua permanenza in questa città vi si recò anche Buonaparte che gli offrì il servizio nel suo esercito: ma Pommereul, che non fu mai di umore molto bellicoso non accettò; e, dopo aver ottenuto la sua cancellazione dalla lista degli emigranti (concessa solo nell'aprile 1796), si recò a Parigi dove fu impiegato nel comitato centrale di artiglieria e rivestì altri incarichi pubblici. Alla restaurazione della monarchia borbonica, seguita alla caduta di Napoleone, fu espulso dalla Francia.
[9] Cavallari: addetti a cavallo con il compito d'avvertire le popolazioni dell'imminente pericolo segnalato dalla torre.
[10] Cfr Flavio Russo La difesa costiera nel regno di Napoli dal XVI al XIX secolo, Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, Roma 1989, pag. 199
[11] Segnali di Riconoscenza, che i bastimenti di Sua Maestà faranno alle torri, e fortezze del litorale del regno da servire fino a nuovo ordine Archivio di Stato Napoli , Piante e disegni cartella 27 unità cartografica 5.
[12] In origine il Mascolo fu un pezzo mobile delle antiche bombarde che conteneva la carica della polvere. Per le segnalazioni furono utilizzati dei modelli appositamente costruiti per delle sparate economiche di saluto o d’avviso. I Mascoli o Mortaretti per uso pirotecnico furono dei piccoli pezzi costituiti da un cilindro metallico troncoconico ad avancarica. Per caricarli nella canna veniva prima versata una parte di polvere nera, e poi segatura a riempire sino alla bocca.
Filippo II, el Rey Prudente, il giorno della battaglia di San Quintino, 1560 (particolare). Antonio Moro, San Lorenzo de El Escorial, Monasterio de El Escorial.
La battaglia navale di Lepanto tra la Lega Santa ed i Turchi nel 1571 (dettaglio) Antonio de Brugada (1804 - 1863) Museo Marittimo di Barcellona
San Michele Arcangelo scaccia i Saraceni da Procida, Nicola Russo 1699, Abbazia di San Michele - Procida (Na).
Assonometria di una torre a tre "troniere". Da "La difesa costiera nel regno di Napoli" dal XVI al XIX secolo, Flavio Russo, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico 1989
La galeotta spagnola comandata da cap. Don Antonio Barcelò respinge l'attacco di due sciabecchi algerini 1738. Dipinto di Ángel Cortellini y Sánchez (1858-1912) Museo della Marina di Madrid (numero di catalogo: 522).
Nota dell'ingegnere militare Francesco Rorro per i lavori ristrutturazione della torre di guardia detta "La Pelosa", ubicata alla marina di Noja (BA) 1752. Nel prospetto, oltre la torre, si nota il corpo di fabbrica (contrassegnato dalle lettere "C" e "G") destinato ad accogliere i "Cavallari" (A.S.Na).
John Dollond (1706 - 1771) astronomo e ottico ed il figlio Peter Dollond (1731 - 1820). Perfezionarono la costruzione dei cannocchiali, e intrapresero la vendita dei primi telescopi acromatici di 1,5 metri di fuoco.
il matematico, prof. Vito Caravelli, e l’ispettore generale d’artiglieria don François René Jean de Pommereul.