Le Esposizioni Universali: la grande fiera del mondo - I Telegrafi delle Due Sicilie

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Le Esposizioni Universali | La grande fiera del mondo

L'invenzione delle fiere internazionali
Per i governi europei, il modello francese d'esposizione nazionale dei prodotti dell'industria e dell'agricoltura fu un esempio da imitare. L'Austria, la Spagna, il Piemonte, il Portogallo, le Due Sicilie, l'Olanda, la Prussia, la Baviera, la Danimarca, la Svezia e la Russia istituirono esposizioni nazionali con un successo tale da renderle periodiche. La Gran Bretagna, diversamente dal resto d'Europa, fu l'unica a ritenersi troppo ricca e progredita per aver bisogno d'un simile stimolo avendo, sin dal 1754, anno di fondazione della Royal Society for the Encouragement of Arts, Manufactures and Commerce , orientato i propri programmi alla costituzione di una organizzazione che fosse di stimolo e di supporto all'industria, al commercio ed allo sviluppo di tecnologie da applicare ai processi produttivi.
Satira esposizione univesale Londra 1851
Alla metà dell'Ottocento l'Inghilterra vantò un consolidato primato nel settore tessile della lana e del cotone, nella estrazione del carbone, nella produzione del ferro, nelle costruzioni ferroviarie, nell'industria meccanica, nella navigazione a vapore e nelle costruzioni navali.
Il liberismo economico, dottrina che accompagnò lo sviluppo dell'economia globale, portò la Gran Bretagna a fare della libertà commerciale il punto di forza della propria strategia di mercato. In questo contesto, all'idea delle esposizioni nazionali, si contrappose quella delle esposizioni universali, proposta da Londra per il 1851 sotto il cappello della "pace universale" e dell'invito "ai popoli d'avvicinarsi gli uni agli altri e di mettere in comune la prosperità dei propri interessi materiali", una sorta di "pax britannica", perfettamente coerente con l'idea di ordine mondiale dell'impero inglese, ma in evidente contraddizione con i decenni di guerre che avevano contraddistinto i rapporti tra le nazioni e le tensioni sociali, appena sopite, del biennio 1848-49.
La "Great exhibition of works of industry of alla nations", in programma a Londra dal 1° maggio al 15 ottobre 1851, fu presentata al grande pubblico come la piattaforma su cui i paesi di tutto il mondo avrebbero potuto mostrare i loro successi, ciononostante, l'organizzazione, la struttura dei padiglioni, i prodotti e le tecnologie esposte alla Great Exhibition ebbero l'evidente finalità d'affermare "il primato [della Gran Bretagna] in quasi tutti i campi che riguardavano la resistenza, la durata, l'utilità e la qualità, che si trattasse di ferro e acciaio, di macchinari o di prodotti tessili" [1].
La potenza coloniale, finanziaria ed industriale inglese, intrisa di antisemitismo e razzismo xenofobo, ebbe la sua vetrina ed incorporò gli elementi di patriottismo e di propaganda per le idee che tenevano insieme l'impero: l'ideologia del progresso sociale e morale, il valore intrinseco della tecnologia e dell'innovazione industriale, i principi di cittadinanza e d'unità imperiale.  
Il "Cristal Palace", sede della "Great exhibition", fu la prima cattedrale nella quale celebrare e promuovere, in nome del "progresso" e della "modernità civilizzatrice dei popoli", l'egemonia del capitalismo, il feticismo delle merci, la democrazia liberale e la supremazia razziale bianca, minimizzando la violenza dell'imperialismo e lo sfruttamento della manodopera.
A distanza di quattro anni, dal 15 maggio al 15 novembre 1855, Parigi rispose alla sfida britannica aprendo le porte della seconda esposizione universale. L'ideologia che sottese alla "Exposition universelle des produits de l'agriculture, de l'industrie et des beaux-arts" fu sostanzialmente la medesima di quella londinese ad eccezione della mistica imperiale britannica, sostituita dalla politica di prestigio perseguita da Napoleone III.  
Napoleone IIIL'esposizione rientrò tra le iniziative del neo-imperatore per per dare legittimità e sicurezza al proprio regno dimostrando al popolo francese, e agli alleati e nemici della Francia, la propria capacità di traghettare la nazione verso un ruolo modernamente inteso di potenza globale, al pari dell'Inghilterra.
Il gigantismo delle Esposizioni attrasse folle di visitatori, mai registrate in precedenza, catturate dalla fantasmagoria dei manufatti delle 14.000 ditte presenti a Londra nel 1851, o delle 24.000 di Parigi del 1855. Il tumultuoso movimento espansivo della produzione e del progresso ebbe una contraddizione di fondo, ovvero l'incapacità d'allargare contestualmente la base di consumo ed espandere i mercati su cui riversare la gran quantità di merci prodotte, generando, così, una crisi da sottoconsumo.
La logica del profitto non favorì lo sviluppo dell'occupazione, i salari si mantennero appena in linea con le necessità di pura sopravvivenza dei lavoratori e delle loro famiglie, le periferie delle metropoli industriali si trasformarono in luoghi di raccolta di una enorme massa di proletariato operaio e di sottoproletariato in cerca di una possibilità. L'espansione economica del decennio 1847-1857 finì per inciampare nella depressione del 1857 che investì l'intera Europa e l'America. Una situazione recessiva, generata da una contrazione delle attività produttive e d'investimento i cui segni premonitori furono colti da Karl Marx già all'inizio del 1855, in una serie di articoli pubblicati sul Neuer Oder Zeitung (numeri dell'11, 12, 20 e 25 gennaio, ed in altri articoli nei mesi successivi) nei quali affrontò il problema delle crisi cicliche del capitalismo. La ripresa si fece attendere sino al primo decennio degli anni Sessanta, per raggiungere il suo massimo tra il 1871 ed il 1873.

Gli Expo e le Due Sicilie
Le pagine successive di questa sezione del nostro sito, esaminano la partecipazione napoletana alla Esposizione Universale di Londra del 1851, a quella di Parigi del 1855 ed al Concorso Agrario Universale di Parigi del 1856. L'economia del sito non ci ha consentito di entrare nel dettaglio di tutti gli avvenimenti tuttavia, abbiamo cercato d'offrire una chiave di lettura che consenta d'interpretare il senso delle decisioni assunte dal governo delle due Sicilie riconducendole al quadro interno ed internazionale in cui tali orientamenti maturarono e finirono per condizionarne la partecipazione alle Esposizioni internazionali. Prima di proseguire il nostro percorso, riteniamo utile offrire una visione d'insieme, certamente non esaustiva, sull'economia delle Due Sicilie tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento, e sui rapporti tra il governo napoletano e quelli di Francia e Gran Bretagna nel medesimo arco temporale.
Uno sguardo all'economia del regno delle Due Sicilie tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento
Osservando la condizione della Penisola alla metà del XIX secolo, la totalità degli Stati italiani si caratterizzò per sistemi produttivi tipici d'una economia preindustriale, importatori di manufatti ed esportatori di prodotti agricoli e materie prime. Le aree produttive del Centro Nord accusavano fortissimi "ritardi e deficienze rispetto ai poli avanzati dell’economia europea, praticamente equivalenti a quelli del Mezzogiorno" [2] quindi, fu «l’Italia intera [che] al momento dell’unificazione si presentava in una situazione che, alla luce delle odierne teorie dello sviluppo, va classificata come inequivocabilmente arretrata» [3].
Il regno delle Due Sicilie, il più grande tra gli Stati italiani, dalla seconda metà degli anni Trenta fu interessato da una progressiva attività imprenditoriale. La politica di sostegno governativo, non priva di contraddizioni e di forzature derivanti da pressioni interne ed esterne, attraverso la pubblica committenza, la graduale adesione al free trade, attuata negli anni 1845-46, la riforma del protezionismo doganale e l'abolizione dei privilegi in favore della Gran Bretagna, Francia e Spagna, favorì l'avvio di una significativa espansione del commercio [4] ed attirò investimenti ed iniziative, anche ad opera di finanzieri ed imprenditori esteri, principalmente provenienti dalla Svizzera, Germania, Inghilterra, Francia, Stati Pontifici, Piemonte, Toscana e Lombardo Veneto.
Sul piano interno, il real governo mise in campo un'attività legislativa e d'incentivazione per lo sviluppo del sistema produttivo ed infrastrutturale, destinando ingenti risorse per la nascita d'un primo nucleo d'industria pubblica, nell'intento di mantenere nelle mani dello Stato i settori considerati strategici e nel contempo creare un volano per stimolare l'iniziativa privata e la trasformazione in senso industriale delle attività gestite con un criterio artigianale. E' cosa nota che la grande industria napoletana poggiasse sul protezionismo governativo ed il capitale straniero, ma è altrettanto chiaro che questi furono elementi indispensabili per stimolare lo spirito d'iniziativa dell'imprenditorialità locale, anche piccola e semi artigianale, il cui ruolo e le cui potenzialità non vanno sottovalutate [5]. Del resto, è opportuno rimarcare l'ampio ricorso, sin dai primi decenni post-unitari, al protezionismo ed all'intervento pubblico per sostenere l'economia dell'Italia (del Nord). Non va dimenticata, a tal proposito, l'introduzione della "tariffa doganale" protezionistica del 1887, i cui devastanti effetti portarono il Mezzogiorno a divenire una sorta di mercato coloniale interno impedendo, di fatto, sia la possibilità di vendere sul mercato internazionale i prodotti della sua agricoltura intensiva, che di acquistare dall'estero manufatti industriali a minor costo (Antonio De Viti de Marco, "La fallacia di una legislazione internazionale limitatrice del lavoro", da il “Giornale degli economisti”, ago. 1890).
Tornando al sistema d'incentivazione e regolazione delle iniziative imprenditoriali nelle due Sicilie, la concessione dei "privilegi" e delle "privative" industriali produsse discreti risultati agevolando uno sviluppo del tessuto industriale che interessò, seppur non omogeneamente, tutte le province del regno. Anche l'agricoltura avviò un apprezzabile ammodernamento per la spinta impressa dalla crescita della popolazione e quindi dalla maggiore richiesta di prodotti, e dall'incremento delle esportazioni.
Le società economiche, ispirate e guidate dal Real Istituto d'Incoraggiamento, promossero la creazione di scuole agrarie e s'adoperarono per fornire assistenza ed istruzioni per il miglioramento delle sementi, l'intensificazione delle coltivazioni di alberi da frutta, l'introduzione e l'uso dei concimi per migliorare i raccolti, l'impiego di macchine da applicare alla produzione agricola, la diminuzione della pastorizia errante e l'introduzione di quella stanziale.  
Sul piano estero, la politica delle Due Sicilie non espresse un potere tale da poter determinare significativi mutamenti nell'orientamento delle cancellerie europee, realisticamente svolse un ruolo unico per l'Italia collocandosi in una posizione di primo piano, tra Spagna, Grecia, Turchia e Portogallo, nazioni "mediterranee" egualmente contraddistinte da economie agricolo-commerciali ed impegnate nel non facile confronto con l'accelerazione impressa dalle potenze coloniali ed industriali ai processi di globalizzazione dei mercati.
Lo stesso presidente del Reale Istituto d'Incoraggiamento, all'indomani della Solenne Esposizione Industriale delle Due Sicilie, presentò una relazione sull'economia del regno, letta nella tornata del luglio 1853 (atti R.I.I.S. vol. VIII), nella quale, traguardando la prospettiva di una apertura dei mercati, elaborò una "classifica" dei "popoli più industriosi", ponendo al primo posto l'Inghilterra, seguita da Francia, Confederazione Anglo-Americana, Belgio, Russia, Austria,  Prussia e  Svizzera, accompagnandola con un confronto tra le caratteristiche di ciascun sistema economico ed i difetti che ancora impedivano all'industria delle Due Sicilie di poter concorrere alla pari. La lucida relazione del Cav. Santangelo toccò i nervi scoperti dell'economia del regno stigmatizzando l'asfittico mercato interno, caratterizzato dal consumo di massa di prodotti di  bassa qualità, l'assenza di scuole di formazione per la manodopera industriale, l'insufficiente meccanizzazione dei processi manifatturieri e dell'agricoltura, indicando nelle produzioni agricole e seriche, gli elementi di punta del sistema produttivo del regno che, comunque, necessitavano d'investimenti cospicui per apportare notevoli miglioramenti, sia sul piano della qualità dei prodotti, che delle tecniche di produzione.
La complessità della sfida che si presentò all'economia napoletana tra gli anni Cinquanta e Sessanta dell'Ottocento, non fu quindi rappresentata dal confronto con i sistemi produttivi dei restanti Stati della Penisola, con i quali i rapporti economici erano limitati quanto, piuttosto, dalla necessità di consolidare, sviluppare ed organizzare il proprio sistema infrastrutturale, creditizio, agricolo ed industriale per raggiungere un maggior grado d'integrazione del proprio mercato con quelli esteri [6]. Lo sbocco sui mercati internazionali per i prodotti delle due Sicilie, soprattutto tessili ed agricoli, fu di vitale importanza per il sistema economico del regno, in significativa, quanto contraddittoria, espansione tra gli anni '40 egli anni '50 dell'Ottocento.
Contribuisce a far chiarezza il rapporto del 1856 inviato a Parigi dal console francese a Napoli all'indomani dell'esposizione di Parigi. La relazione consolare, riferendosi all'attivo della bilancia commerciale delle Due Sicilie così si esprimeva: "on évalue les exportation annuelles du royaume des deux Sicilies à 110 ou 115 millions de francs en moyenne calculée sur ces dernères années et en comprenant dans ces chifffres la Sicilie pour 40 millions des francs. Les importation peuvent s'elever à 70 million. Ces données ne sont, d'allieurs, qu'approssimatives à cause de la difficulté d'apprécier la contrebande" [7]. L'anno successivo, l'obiettivo parzialmente raggiunto di import substitution, ovvero la sostituzione con prodotti nazionali di parte delle importazioni estere [8], trovò eco nella consueta nota del consolato francese di Napoli.
Nel riferire l'andamento industriale delle Due Sicilie, la relazione consolare espresse preoccupazione per un possibile calo delle importazioni di prodotti francesi dovuto al crescente sviluppo manifatturiero del regno, sia attorno la Capitale che nelle restanti provincie. In generale, l'orientamento governativo verso le importazioni di manufatti e di altri prodotti dall'estero fu orientata al "contenimento" e, ove fosse possibile impegnare risorse interne, all'ampliamento della base produttiva nazionale in tutti i settori, inclusi quelli agricoli o semi-industriali (Daniela Ciccolella "Il Commercio Estero", Rubettino, 2013 pag. 243-245).
Contestualmente, la stessa nota consolare del 1857, registrò un forte calo delle esportazioni napoletane dovuto alla contrazione dei mercati generata dalla crisi economica continentale iniziata nel 1856, ed alimentata dalla della guerra di Crimea, i cui effetti s'attenuarono solo nella seconda metà del 1860. Un evento critico di proporzioni globali che comportò il fallimento d'imprenditori inglesi, il crollo delle borse di Londra e Parigi, ed un'onda lunga che raggiunse Il Sud America, l'Estremo Oriente, ed innescò il crollo dell'economia americana (1857 Panic- Cfr: https://bankunderground.co.uk/2016/12/20/the-nightmare-before-christmas-1857-financial-crises-go-global/ ).
L'economia napoletana resse il contraccolpo della sfavorevole contingenza internazionale, la produzione agricola continuò ad essere la principale voce dell'esportazione, un comparto economico fondamentale verso cui s'avvertì la necessità di dover intervenire attraverso la meccanizzazione, veicolo che avrebbe aiutato la trasformazione industriale del regno, e proseguendo con le bonifiche e la redistribuzione delle terre sottratte alle paludi (Decreto per la bonifica del Volturno del 1839, e Legge per tutte le bonifiche dell'11 maggio 1855).  
L'attesa riforma agraria che, tra l'altro avrebbe contribuito alla emancipazione economica e sociale dei contadini, non fu realizzata, soprattutto per la ferma opposizione della grande proprietà agraria, ed i cui effetti negativi si trascinarono sino agli anni '50 del Novecento, quando fu promulgata la Legge stralcio n. 841 del 21 ottobre 1950. [9].
Sul versante manifatturiero si rafforzò principalmente la produzione per il mercato interno, delineando una geografia industriale che ebbe nel metalmeccanico, il tessile e nella carta e cartone i comparti di punta, mentre altri settori produttivi come le vetrerie, i guanti o i pianoforti Sievers, incontrarono il favore del pubblico nazionale ed internazionale, con una non trascurabile  esportazione [10].

Le tensioni anglo-napoletane ed il ruolo della Francia
Le tensioni politiche e diplomatiche con la la Gran Bretagna, la maggiore tra le potenze del tempo, non agevolarono di certo i piani di sviluppo delle Due Sicilie. Ferdinando II concepì la presenza del Regno delle Due Sicilie sullo scacchiere europeo come un'entità politica in crescita "nelle cui faccende nessun altro Stato avesse da immischiarsi, tale da non dar noia agli altri e da non permetterne per sé". l'Inghilterra fu di tutt'altro avviso ritenendo d'aver svolto, sin dal 1799, un ruolo di garanzia e di difesa del trono di Napoli e ciò le conferiva il diritto di richiederne la subalternità.
Lo stato delle relazioni tra i governi napoletano e britannico, all'inizio degli anni Cinquanta, avevano già subito un processo di notevole degrado. Nell'estate del 1831, lo sbarco dei marines inglesi sull'sola Ferdinandea, uno scoglio di circa quattro chilometri quadrati emerso tra Sciacca e Pantelleria, fu un chiaro atto intimidatorio con cui Londra volle affermare la difesa ad oltranza dei propri interessi sulla vicina Sicilia.
Nel 1834, Ferdinando II rifiutò d'appoggiare Isabella II, sostenuta da Francia e Inghilterra nel conflitto per la successione a Ferdinando VII sul trono di Spagna. Londra ravvisò nel rifiuto del re di Napoli il tentativo di sciogliere da ogni sudditanza il proprio regno e quindi, conquistare un ruolo autonomo sul piano internazionale che elevasse le Due Sicilie al rango di medio-grande potenza. Una posizione che teoricamente avrebbe potuto scardinare gli equilibri stabiliti in Mediterraneo dalla fine delle guerre napoleoniche e che ispirò la determinazione inglese ad adottare una politica di contenimento e di destabilizzazione delle Due Sicilie.
la "Sulphur War " del 1840 aprì una nuova grave crisi nei i rapporti anglo-napoletani.
La mediazione del Re di Francia Luigi Filippo contribuì a chiudere la vicenda ma fu palese l'intento britannico di porre un'ipoteca sulla sovranità delle Due Sicilie. Seppur ristabiliti i rapporti commerciali, le relazioni diplomatiche con Londra rimasero fredde e Ferdinando II rafforzò i legami con la Francia di Luigi Filippo per arginare le pretese d'ingerenza dell'Austria sulle Due Sicilie e dell'imperialismo britannico sulla Sicilia e l'intero Mediterraneo.
Le manovre del Re di Francia, contrario ad un ipotesi d'unità d'Italia si orientarono per un verso, nella direzione di favorire una confederazione di Stati italiani indipendenti (sul modello tedesco) e per l'altro, d'agire per comprimere l'influenza britannica sull'Europa e sul Mediterraneo, promuovendo un'azione politica comune di Francia, Austria, Prussia e Russia
I moti del 1848 scalzarono il regno di Luigi Filippo interrompendone i progetti.
Tra la nuova Francia repubblicana e la Gran Bretagna si accesero le rivalità sul destino della Sicilia e l'atteggiamento da tenere verso il Re di Napoli, ciascuna fomentò e sostenne, sebbene su posizioni diverse, il partito separatista siciliano.
L'ascesa al potere di Napoleone III rimescolò nuovamente le carte. Lo scontro tra Inghilterra e Francia sui destini della Sicilia e l'intransigenza del partito separatista siciliano, portò i due contendenti ad abbandonare la causa. Ipocritamente il ministro per gli affari esteri inglese, Henry John Temple, visconte di Palmerston, giustificò il voltafaccia del suo governo dichiarando all'inviato siciliano Luigi Scalia, che: "il gabinetto di Sua Maestà non aveva mai mancato di consigliarvi un accomodamento con il vostro legittimo sovrano per evitare la triste situazione alla quale la vostra ostinazione vi ha condannato!" [11]
Ferdinando II ebbe le mani libere per poter agire, archiviato il tentativo di colpo di stato del maggio 1848, il successivo 15 maggio 1849 il generale Carlo Filangieri, al comando del corpo di spedizione napoletano, riprese il controllo di Palermo e dell'intera Sicilia.
La fine degli scossoni provocati dal 1848-49 indusse Ferdinando II ad orientare la bussola della politica estera napoletana verso la Francia di Napoleone III, ritenendo che un rapporto privilegiato con il nuovo imperatore dei francesi potesse creare condizioni favorevoli per contenere le pretese britanniche e le spinte sovvertitrici dell'ordine sociale che a Napoli vedevano particolarmente attiva la fazione murattiana.
La scelta napoletana, se da un lato creò perplessità tra i tradizionali alleati di Russia, Austria e Prussia, dall'altro incassò la reazione nettamente contraria dell'Inghilterra, preoccupata delle ricadute sul controllo del Mediterraneo, ed in particolare sull'Adriatico, dove già la Russia cercava uno sbocco.

Le lettere di Gladstone del 1851
Il 13 novembre 1850 l'onorevole William Ewart Gladstone, consigliere di Stato, membro del Parlamento britannico, figura di non primissimo piano del partito conservatore Tory, giunse con il suo piccolo seguito a Napoli per curare una malattia agli occhi che affliggeva la figlia Mary.
Latore di lettere di presentazione del principe di Castecicala, plenipotenziario napoletano presso la corte inglese, Gladstone chiese all'ambasciatore britannico a Napoli, William Henry Temple (fratello di Lord Palmerston), di sondare la possibilità d'essere ammesso a colloquio con il Re Ferdinando II. L'incontro non fu mai concesso e Temple, di cui il governo napoletano aveva chiesto invano la rimozione, non perse l'occasione per rendere partecipe Gladstone delle proprie preoccupazioni circa l'andamento del processo in corso contro repubblicani e liberali, rei per i sanguinosi tumulti seguiti al tentativo di colpo di stato del maggio 1848. L'azione penale vide coinvolti personaggi che godevano delle simpatie e dell'appoggio del corpo diplomatico inglese. I liberali napoletani, ed i loro sostenitori in seno alla comunità britannica della Capitale, descrissero a tinte fosche la situazione interna del regno, ed una condizione dei prigionieri politici degna di un romanzo gotico.
Gladstone fece suo "il grido di dolore" dei circoli liberali napoletani, tanto che chiese di visitare una delle carceri della Capitale. Tra i personaggi che circondarono Gladstone nel corso del suo soggiorno napoletano, uno in particolare ebbe un ruolo fondamentale, l'avvocato liberale pugliese Giacomo Filippo Lacaita. Assunto dal console britannico a Napoli come procuratore, Lacaita divenne amico e "suggeritore" di Gladstone avendo cura di mostrargli la città ed intrattenerlo sulle questioni della politica italiana e la situazione interna alle Due Sicilie. Le mene di Lacaita non sfuggirono all'attenta polizia napoletana che il 3 gennaio del 1851 lo arrestò.
Le pressioni della delegazione britannica ne consentirono il rilascio dopo soli nove giorni, ottenendo persino che il Lacaita organizzasse, come richiesto dallo stesso Gladstone, la visita a Carlo Poerio detenuto presso il bagno penale di Nisida
Il dibattimento processuale a carico degli oltre trecento responsabili del tentato colpo di Stato del maggio 1848, fu attentamente seguito da Gladstone sino al pronunciamento della sentenza, per poi decidere, nel febbraio 1851, di lasciare Napoli alla volta di Londra. Al ritorno in patria egli confidò al primo ministro George Hamilton Gordon, IV conte di Aberdeen, l'intenzione di voler sottoporre la situazione dei prigionieri politici napoletani all'attenzione dell'opinione pubblica.
Aberdden cercò una mediazione per evitare un incidente diplomatico, ed informò della questione l'ambasciatore napoletano, il principe di Castelcicala il quale, a sua volta, ne diede notizia il primo ministro, il marchese Giustino Fortunato. Il 7 aprile 1851, la prima lettera di Gladstone pervenne privatamente ad Aberdeen che ne girò copia al Castelcicala, non senza premurarsi "d'invitare" l'ambasciatore napoletano a sollecitare il suo governo nel dar luogo a "congrue iniziative" verso i detenuti politici per evitare la divulgazione delle lettere.
Il governo napoletano, preoccupato per gli esiti che avrebbe avuto sull'opinione pubblica internazionale la pubblicazione delle accuse di Gladstone, tentò di preparare delle risposte ma si mosse con eccessiva prudenza e senza la necessaria rapidità.
Nell'attesa dell'imminente divulgazione delle lettere sulle persecuzioni di stato del Governo Napoletano, scritte dall’onorevole W.E.Gladstone, deputato in rappresentanza dell’Università di Oxford",  il primo maggio 1851, Londra apriva le porte della Great exhibition of works of industry of all nation, due mesi dopo, nel luglio del 1851, lo stesso Gladstone annunciava all'ambasciatore napoletano la prossima pubblicazione del proprio libello.
I "martiri" napoletani L11 luglio, difatti, fu diffuso un opuscoletto contenente la prima lettera al ministro Aberdeen, una seconda lettera, unitamente alla precedente, fu successivamente data alle stampe e distribuita con successo, prima in Inghilterra (undici ristampe) e poi nell'intera Europa. Il Times, dopo la pubblicazione delle lettere, il 13 settembre 1851 prese posizione a favore di Carlo Poerio e due giorni dopo, L'Indépendance belge, La Presse in Francia, la Gazette de Cologne e la Augsburger Allgemeine Zeitung negli  stati tedeschi, La Nación e  l'Heraldo in Spagna, accolsero positivamente le lettere di Gladstone mostrando il ruolo attivo della stampa liberale nel sostegno alla campagna per la scarcerazione di Poerio, e nella costruzione del mito del martire della libertà napoletana.
Le lettere furono altra benzina gettata sul fuoco delle relazioni anglo-napoletane, formalmente il governo britannico svolse un'opera di mediazione, in realtà, l'azione di Gladstone fu sostenuta e pienamente utilizzata da Londra per accrescere la pressione disgregatrice sul regno delle Due Sicilie e favorirne l'isolamento internazionale.
La truce descrizione delle condizioni dei prigionieri politici nelle due Sicilie, a prescindere dall'accertamento della veridicità o meno delle accuse, costituì un formidabile strumento d'accusa del liberalismo europeo contro il governo di Napoli. La campagna del 1851, forse la prima su grande scala di "orientamento" moderno del consenso, fu una vera e propria azione d'intelligence contro una nazione sovrana ed orchestrata giocando essenzialmente su tre fattori:
1 - il retroterra di discredito creato attorno la figura di Ferdinando II, già additato all'opinione pubblica internazionale come il "Re Bomba" per il cannoneggiamento dei quartieri di Messina nel corso dell'assedio del settembre 1848;
2 - l'attendibilità delle fonti, agli occhi del pubblico, Gladstone ed i liberali napoletani furono presentati ed accettati come unica fonte certa delle notizie riportate nelle lettere;
3 - la creazione della figura dei martiri, attraverso l'irrealistica descrizione del loro supplizio fisico e morale e delle continue ed arbitrarie violazioni del diritto da parte della polizia e dalla magistratura napoletana, fu confezionato il mito del martire napoletano della "causa risorgimentale", una costruzione retorica che rimanda ai martiri cristiani, pescando a piene mani sin anche nelle vicende del 1799, naturalmente omettendo il ruolo dell'Inghilterra, ed in particolare del suo eroe nazionale Horatio Nelson, nella repressione seguita alla caduta dell'effimera repubblica sostenuta dalle armi francesi. In conclusione, la fusione di questi ingredienti all'interno di un quadro di disinformazione, l'appoggio incondizionato della stampa e di personalità di area liberale e repubblicana, il dibattito al parlamento britannico, la mobilitazione di tutte le delegazioni britanniche all'estero per diffondere le "lettere", travolsero ogni ragione e prova addotta dal governo napoletano e da chi, in campo internazionale, prese la parola in difesa delle Due Sicilie.
Nessuna rilevanza ebbe la realtà della condizione carceraria europea, similare e per certi versi peggiore di quella presente negli istituti di pena del regno, che lo strumento della pena di morte nelle Due Sicilie fosse usato molto raramente, se rapportato al disinvolto ricorso alle esecuzioni praticato in tutto l'occidente, che le prigioni, ed il "trattamento" dei detenuti politici irlandesi nelle galere della liberale Inghilterra, superasse ogni immaginazione in termini di torture e privazioni inflitte, che nelle colonie dei "civili" paesi europei, la condizione dei deportati fosse a dir poco inumana ed ogni resistenza anti-coloniale fosse repressa ricorrendo a sommarie esecuzioni di massa, ed eccidi d'inermi popolazioni.
Per approfondire la vicenda delle lettere di Galdstone consigliamo la lettura de "Il caso : le lettere che agitarono l’Europa", la prefazione al libro "Lettere sul Regno di Napoli – William Gladstone" di Marcello Donativi è consultabile qui.
Per approfondire la situazione delle carceri meridionali dopo l'unità d'Italia suggeriamo il libro "L'Europa e la questione napoletana" Eugenio Di Rienzo D'Amico Editore. Video tratto dal sito ELEAML clicca qui.

[1]  French Yvonne. The Great Exhibition; 1851. London: Harvill Press, 1950.
[2] G. Pescosolido, Dal sottosviluppo alla Questione meridionale, in Storia del Mezzogiorno, vol. XII, Napoli 1991, p. 35.
[3] Ivi, p. 26.
[4] l Reale Istituto d'Incoraggiamento di Napoli e la sua opera 1806 - 1860, Anna dell'Orefice, Biblioteca de "Cahiers Internationaux d'histoire economique et sociale" 18, Librairie Droz, Genève, 1973.
[5] Maria Teresa Tanzarella, "Rrapporti commerciali fra il regno delle due Sicilie e la Francia", pag. 303 in "Il Mezzogiorno preunitario" a cura di Angelo Massafra edizioni Dedalo, Bari 1988.
[6] Sui rapporti tra Mezzogiorno ed Europa nel Risorgimento, Aurelio Lepre, Studi Storici Anno 10, No. 3 (Jul. - Sep., 1969), pp. 548-586, Fondazione Istituto Gramsci.
[7] Archives Nationales des Affaires Étrangères, Pierrefitte-sur-Seine (ANAEP) C.C.C., Naples T. 53 ff.  317 - 417 "Le esportazioni annuali del Regno delle due Sicilie sono stimate in 110 o 115 milioni di franchi in media, calcolati sugli ultimi anni e includendo in queste cifre la Sicilia per 40 milioni di franchi. Le importazioni potrebbero ammontare a 70 milioni. Queste cifre sono tuttavia solo approssimative a causa della difficoltà di valutare il contrabbando".
[8[ Luigi De Matteo, Una "economia alle strette" nel Mediterraneo, capitolo III pag. 123, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2013.  
[9] Cenno storico di Ferdinando II Re del regno delle due Sicilie, Francesco Durelli, Stamperia reale, Napoli 1859, pag. 247 ÷ 252.
[10] Luigi De Rosa "La rivoluzione industriale in Italia e nel Mezzogiorno" Editori La Terza Roma-Bari 1974, p.59.
[11] Nassau William Senior "Journals kept in France and Italy from 1848 to 1852, with a Sketch of the Revolution of 1848" edited by his daughter M. C. M. Simpson, 2 vols. The Athenaeum (2281): 77–78. 15 July 1871.

La sala dei campioni e dei prototipi della Royal Society for the Encouragement of Arts, Manufactures and Commerce (RSA) di Londra (1847).  La Società fu costituita nel 1784 con la finalità di "incoraggiare l'impresa, sviluppare la conoscenza, perfezionare le arti, migliorare i nostri prodotti ed estendere il nostro commercio". La Royal Society of Arts è tutt'oggi attiva ed è presieduta da S.A.R. la Principessa Anna d'Edimburgo.
Per sostenere il rapido sviluppo dell'industria inglese fu necessario richiedere braccia; le città crebbero in modo drammatico a causa della migrazione degli agricoltori e delle loro famiglie alla ricerca di un lavoro in fabbrica o nelle miniere. Nel 1800, circa il 20% della popolazione britannica viveva in aree urbane. Verso la metà del XIX secolo quella proporzione raggiunse il 50%. Fabbriche e miniere di recente sviluppo si rivelarono luoghi pericolosi ed insalubri e le condizioni di lavoro brutali.  Lunghi turni di lavoro di 12-16 ore, bassi salari che a malapena coprivano il costo della vita, ritmi di lavoro estenuanti, costante rischio di morte o d'infortunio grave, pause negate o detratte dal magro salario, sfruttamento del lavoro minorile, paghe inferiori per donne e bambini. La classe operaia, per la gran parte non qualificata, fu relegata sugli ultimi gradini delle rigida gerarchia sociale dell'Inghilterra vittoriana, non ebbe accesso all'acqua pulita e al cibo, all'istruzione per i loro figli o ad abiti adeguati. L'assenza di diritti fu il frutto di una visione ideologica dello sviluppo economico ed industriale propria del "Liberalismo classico", una dottrina politica altamente individualistica, che basò le sue fortune anche sullo scarso o nessun interesse e coinvolgimento del governo a protezione dei lavoratori, delle donne o dei minori, gli schiavi della modernizzazione liberale.
A partire dal XIX secolo, l'Inghilterra divenne la più grande potenza coloniale mondiale, la prima nazione industriale, e la maggiore potenza economica, marittima, commerciale e finanziaria del tempo. Il sistema economico-industriale e militare su cui poggiò l'espansionismo britannico ebbe il sostegno dell'opinione pubblica grazie ad una intensa propaganda, la cui narrazione propose i valori culturali, economici, politici e sociali dell'Inghilterra liberale come universali, una dirompente forza civilizzatrice il cui compito fu quello di oscurare la "barbarie". Colonialismo e sviluppo industriale ebbero un rapporto osmotico che trasse ulteriore vigore, anche dalla differenziazione di sfruttamento delle terre annesse all'impero realizzando: colonie di sfruttamento, tra cui il prototipo fu l'India, colonie d'insediamento europee, come il Canada, l'Australia e la Nuova Zelanda, o colonie miste, come il Sudafrica, dove una minoranza bianca egemone emarginò una maggioranza nera. Intorno al 1860, con il 2% della popolazione mondiale, la Gran Bretagna rappresentò un quinto della produzione mondiale e il 50% del capitale sociale mondiale. L'Inghilterra si industrializzò per prima; e rimase l'unica nazione a farlo per un periodo di tempo relativamente lungo . Il mercato interno, tuttavia, non fu sufficiente ad assorbire tutta la produzione, le politiche protezionistiche dell''Europa continentale e degli Stati Uniti, non consentirono d'assorbire questa vasta gamma di prodotti. Lo sbocco alternativo per Londra fu l'esportazione verso i paesi del suo Impero coloniale, ma anche la ricerca di altri "partner" come l'America Latina, il Medio Oriente e la Cina. Questa necessità fu una delle ragioni che sostenne la prima Esposizione Industriale londinese ma, anche il motivo per cui si sviluppò una intensa campagna per l'applicazione universale dei principi del "libero scambio", che arrivò ad assumere anche risvolti di violenza militare verso i paesi ritenuti chiusi al "mercato" ed alla "democrazia liberale". Immagine: From the Cape to Cairo. Tough the Process Be Costly, The Road of Progress Must Be Cut.” Udo Keppler, Puck, December 10, 1902. Source: Library of Congress.
Tra il 1854 ed il 1855 Marx ed Engels trattarono dalle colonne del New York Daily Tribune e del quotidiano democratico tedesco Neue Oder-Zeitung, una vasta gamma di problemi contemporanei ed in particolare il conflitto tra Russia e Turchia, che si sviluppò nella guerra di Crimea. All'inizio del 1855, in una serie di articoli sulla Neuer Oder Zeitung, Marx affrontò il problema delle crisi cicliche e le questioni legate alle riforme bancarie britanniche del 1844. Già si avvertivano i segni dell'imminente recessione mondiale del 1856-58 e Marx fu uno dei primi a comprendere che le crisi economiche non erano un errore del sistema capitalista, ma una delle sue caratteristiche intrinseche. L’analisi marxiana mise in luce quanto la ricerca moralistica dei colpevoli di una crisi (gli "speculatori") non fosse altro che l'altra faccia della moneta, ovvero la convinzione, falsamente ottimista, che le crisi fossero evitabili. Secondo questa illusione ideologica, una crisi viene sempre dall'esterno; è una patologia estranea al sistema. Per Marx, al contrario, Il capitalismo è la crisi; congenita all'idea stessa di sviluppo, è l’espansione che può solo portare alla contrazione finale.
La fuga dalla Seamen's Savings' Bank durante il panico del 1857. Il 13 ottobre 1857, dopo che la Ohio Life & Trust Co. dichiarò bancarotta, il panico colpì la Borsa di New York e centinaia di altre banche e singoli investitori furono rovinati. Questa incisione mostra una folla che gesticola e spinge. Un raccoglitore di stracci coglie dalla strada i certificati azionari ormai privi di valore, un borseggiatore agisce senza farsi notare. Library of Congress, Washington D.C.
"Carta Alimentare delle provincie continentali del Regno delle Due Sicilie" a cura del Ministero di Stato per l'Interno, autore Benedetto Marzolla, Napoli 1856. La carta mostra la diversità e la ricchezza delle produzioni alimentari della parte continentale regno, l'agricoltura fu la principale risorsa economica delle Due Sicilie e la prima voce delle esportazioni.
Isola Ferdinandea - Il 12 luglio 1831, a 27 miglia al largo di Sciacca, emerse una piccola isola che per il potenziale strategico della sua posizione, suscitò  l'interesse di Francia ed Inghilterra. Ciascuno dei pretenderti sbarcò sull'isola piantando la propria bandiera ed assegnandole un nome: i napoletani, Ferdinandea, in onore del Re, i francesi Julia", per ricordare il mese d'emersione, luglio appunto, ed infine gli inglesi con "Grahaman Island". Per l'Inghilterra rivendicare l'isola fu una azione di deterrenza diplomatica e militare verso la corona napoletana per riaffermare i diritti che Londra pretendeva di accampare sulla Sicilia. Il Re Ferdinando II, sulla base del diritto internazionale, reclamò la sovranità territoriale sull'isola, una questione che s'innestò sui  già precari rapporti diplomatici tra Napoli e Londra. Il 28 dicembre 1831 la natura risolse il contenzioso, tra sbuffi d'acqua e vapore, Ferdinandea s'inabissò. Ciò che rimase fu un basso fondale pericoloso per la navigazione che gli inglesi s'affrettarono a segnare sulle carte nautiche come "Banco di Graham", tanto per riaffermare la loro arrogante sovranità su quell'isola che non c'e'.
6 settembre 1848: Sbarco a Contessa (ME) delle truppe napoletane comandate dal generale Carlo Filangieri. L'azione del Filangieri  fu una dimostrazione di efficienza e preparazione militare; il caposaldo sulla spiaggia fu assicurato dallo sbarco dei reparti del Reggimento Real Marina (la componente di fanteria della marina reale) seguiti da quattro battaglioni di Cacciatori, dal 4° reggimento svizzero ed uno di fanteria nazionale. Dopo ventiquattro ore di violento confronto, ed un pesante bombardamento per eliminare le forze trinceratesi nel dedalo di vicoli della città vecchia, ogni resistenza delle forze separatiste fu debellata. L'intervento di Inghilterra e Francia impose un armistizio nel vano tentativo di riuscire ad obbligare le parti ad una mediazione. Tentativi che si protrassero per quasi otto mesi senza risultato, nel maggio del 1849 Filangieri, su ordine di Ferdinando II completò la campagna di Sicilia. Immagine: in primo piano ritratto del generale Carlo Filangieri, sullo sfondo particolare de "Lo sbarco delle truppe borboniche a Messina", Francesco Fergola 1849, Napoli, Museo Nazionale di S. Martino. In basso dipinto attribuito a Salvatore Fergola che illustra i combattimenti successivi alla sbarco delle truppe regie, in prossimità del faro del porto di Messina.
Frontespizio della requisitoria del pubblico ministero e conclusioni della gran corte speciale di Napoli in ordine al processo per il sanguinoso tentato colpo di Stato del maggio 1848. Parte del processo fu seguita in aula dall'on. Gladstone nel corso del suo soggiorno napoletano.
Visita dell'onorevole Gladstone, accompagnato da Giacomo Lacaita, ai prigionieri politici nel carcere della Vicaria (Vicarie era la definizione per le carceri centrali). Incisione tratta da  "Life and public services of Hon. Wm. E. Gladstone" di Kelsey, D. M.. Il libro fu pubblicato nel 1880, trent'anni dopo i fatti,  ed offre, nel testo e nell'illustrazione, una fantasiosa ricostruzione di una visita alle carceri napoletane, con molta probabilità mai avvenuta. La costruzione gotica dell'ambiente vede al centro della scena, ambientata in un camerone con gendarmi che sorvegliano i detenuti, un prigioniero che porta al piede e trascina sulle spalle una lunga catena, emaciato, abiti ridotti a stracci, confida ai suoi visitatori, fieri alfieri della libertà, le inenarrabili pene a cui è sottoposto. La narrazione è perfettamente coerente con l'apparato propagandistico del liberalismo europeo per sostenere la causa dei "martiri napoletani" e manipolare l'opinione pubblica, indirizzandone la riprovazione verso il governo delle Due Sicilie, "La negazione di Dio!"
William Ewart Gladstone,  (1809 - 1898),  quattro volte primo ministro della Gran Bretagna (1868-1874, 1880-1886, 1886, 1892–94) inizialmente fu politicamente organico al partito conservatore (Tory), per poi spostarsi su posizioni apertamente liberali. Nell'autunno del 1850 visitò Napoli dove sposò la causa dei prigionieri politici. Nel luglio del 1851 pubblicò due lettere indirizzate a Lord Aberdeen (primo ministro inglese) in cui "descrisse" le condizioni di detenzione nelle prigioni napoletane e si appellè a tutti i conservatori affinché ponessero rimedio a un'ingiustizia. La maggior parte dei conservatori, in tutta Europa, rimase sorda al suo appello ma Lord Palmerston, Segretario di Stato agli Affari Esteri, esponente della corrente liberale e fratello dell'ambasciatore inglese a Napoli, diffuse le lettere a tutte le missioni britanniche sul Continente,alimentando la campagna del liberalismo europeo contro il governo napoletano. Se a Napoli Gladstone si fece alfiere dei diritti dei prigionieri politici, in Irlanda fu uno dei legislatori che si occupò di perseguitare l'indipendentismo e rafforzare la già violenta repressione. Nel 1882 creò nel Castello di Dublino un dipartimento di servizio segreto permanente: il Crime Special Branch, in coordinamento con l'esercito, la polizia e la magistratura, per condurre operazioni militari, d'intelligence, ed "ottenere" informazioni dai militanti dell'irredentismo cattolico irlandese detenuti nelle prigioni britanniche.
"La sedia ardente, crudeltà della polizia borbonica", stampa del disegnatore Carlo Barbieri e dello stampatore Felione, entrambi milanesi, realizzata in epoca post-unitaria per alimentare la campagna anti-borbonica, tesa ad instillare, nella coscienza collettiva delle popolazioni meridionali, un senso di distacco e di vergogna verso la propria storia precedente all'unificazione. La stampa lavorò nel solco dell'idea di una dinastia borbonica che basò il proprio potere sulla violenza, l'abuso, l'ignoranza, il disordine e la corruzione, contrapposta alla leggenda unitaria che esaltava i valori "positivi" di casa Savoja, ed il codazzo mitologico-risorgimentale.
"La vérité sur les affair de Naples, réfutaion  des lettres de M. Gladstone", del Barone Alphonse Victor Chrétien Balleydier, (Parigi 1851), e "Risposta di un Italiano a due lettere del signor Gladstone a Lord Aberdeen" , Anonimo, Italia 1851, furono due dei tanti opuscoli che confutarono le "lettere" di Gladstone ma che  non riuscirono a contrastare la macchina propagandistica messa in campo dall'Inghilterra, sostenuta degli Stati Sardi.
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 A mio padre   
(Procida 1930 – Napoli 1980)
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Telegrafo  
dal greco antico tele (τῆλε) "a distanza" e graphein (γράφειν) "scrivere", scrittura.





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